10b photography & the others art fair

presenta:

 

SEGRETO
di Francesco Zizola

IL PORTO SEPOLTO

Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d'inesauribile segreto

Mariano, il 29 giugno 1916 Giuseppe Ungaretti

Il “porto sepolto”, metafora del segreto nascosto sotto la superficie della realtà, rappresenta ciò che l’artista cerca di portare alla luce. Questo viaggio interiore, che spesso si manifesta come un’immersione nelle profondità dell’essere, è fonte di inquietudine e talvolta angoscia, come testimoniano le opere di Ungaretti e altri grandi poeti.

Prima di ogni poesia specifica esiste la Poesia con la “P” maiuscola, quella che Baudelaire chiamava “corrispondenze”. Queste affinità nascono attraverso la ripetizione di suoni, ritmi e immagini che catturano l’attenzione del lettore e osservatore, creando uno spazio in cui si vive la promessa del ritorno, un luogo in cui la rivelazione si avvicina.

La poesia non è quindi solo parola, ma la manifestazione di un ordine nascosto.

L’artista diviene così colui che intuisce che la realtà è “un teatro di metafore”, che le cose potrebbero non essere ciò che sembrano, e quindi si avventura oltre la superficie delle apparenze, all’eterna ricerca di un significato più profondo legato all’esistenza.

L’opera di Zizola, in definitiva, è il canto di un segreto inafferrabile, l’eco lontana di qualcosa di inesauribile, un mistero che l’artista si sforza di rappresentare, avvicinando l’invisibile al dicibile.

I CAPELLI DI VENEZIA di Gianmaria De Luca

Un tuffo nel vuoto, tra tempeste violente e lande sconosciute, nella nebbia che rende tutto immobile e misterioso, e improvvisamente la fotografia muta di senso. Superato il confine tra la civilizzazione e il mare, nell’acqua che da secoli si scontra con la pietra d’Istria delle banchine lagunari, la curiosità cede il posto alla meraviglia. Le figure si confondono e Venezia scompare nelle linee sinuose che traghettano l’occhio attraverso turbini di suggestioni antiche e inaspettate. Allora tutto si carica di nuovo senso, si smette di precipitare nell’ignoto e si riconoscono i racconti che le forme intricate disegnano sulla tela.

Storie contemporanee come quella del Sargassum muticum, un’alga orientale arrivata nella laguna negli anni ‘90 e diventata una delle ossessioni dei veneziani a causa della sua presenza costante sulle eliche delle imbarcazioni, sui remi dei gondolieri e su tutti i moli, si mescolano alle suggestioni dell’arte giapponese di Hokusai, alle incisioni di Dürer e le illustrazioni di Gustave Doré . La globalizzazione diventa evidente nella violenza con cui l’ecosistema è attaccato e i suoi delicati equilibri sono stravolti. Allo stesso modo, l’invasore diventa quasi un simbolo, gli viene dato un nome – i “capelli di Venezia” – e smette di far paura, diventando parte del paesaggio. Si sposta, quindi, dal piano geografico a quello storico intervenendo nella creazione di nuovi immaginari che l’occhio di De Luca è riuscito a cogliere e rappresentare in questa serie di immagini scattate durante quel viaggio sottomarino iniziato con un tuffo nel vuoto.

Quasi come se il confine tra l’umano e il naturale si sposti direttamente sulla superficie dell’acqua, tra il visibile e l’ignoto, trasformando la discesa negli abissi del fotografo in una reinterpretazione del mondo magico di una città impossibile.

Il naufragio è quindi una scelta, secondo quel peccato necessario che costrinse Ulisse a infinite peregrinazioni verso il suo fatale destino in nome della voglia di conoscenza e che muove l’arte fin dalle origini dell’espressione umana. Questa volta però il viaggio è possibile e il finale aperto, sarà l’osservatore a scegliere se rimanere impigliato, andare più a fondo o riemergere dal porto sepolto dove l’opera di Gianmaria De Luca l’ha condotto.

METAMORFOSI
di Gianmaria De Luca

“Camminando lungo la riva, con il cielo immerso in tonalità di rosso, osservai l'acqua che, sedotta dalla luna, incideva sagome di alberi spogli nella sabbia. All'improvviso mi ritrovai perso in una foresta priva di colori, alla deriva, nella palude del tempo”. L’oceano, grazie alle maree, scolpisce il suo disegno nella sabbia, creando un motivo sempre diverso che resiste fino alla metamorfosi successiva. Ogni onda insegue la precedente, mai la stessa ma sempre allo stesso modo — una condanna infinita. Come un artista che, tormentato dall’amore, distrugge la propria opera. Questa creazione assomiglia a una foresta, tormentata come il confine tra terra e mare, graffiata sulla battigia dalla mano dell'oceano.

Le fotografie di questa serie, che ricordano le incisioni di Dürer e le illustrazioni di Gustave Doré, rivelano foreste desolate, ma forse incantate, che meravigliano lo spettatore con il fascino dell’inquietudine. Una realtà ignota, pericolosa ma attraente come i gorghi del nostro animo, dove il tempo non è più percepito nel suo divenire ma si manifesta soltanto come limite, fine ineluttabile di ciò che già dalla nascita è destinato a una labile esistenza.

A un primo sguardo è difficile immaginare che quelle architetture naturali così complesse possano svanire da un momento all’altro, ma poi l’oceano cancella tutto, reclamando il suo ruolo di demiurgo eterno.

Addentrarsi in questi paesaggi effimeri rivelati dalle onde dell’oceano è unmodo per cercare delle risposte in una realtà soggettiva ma al contempo totalmente ingovernabile. E quello che a una prima occhiata sembrerebbe uno spazio angusto, irto di pericoli, rivela orizzonti lontani. Cieli in tempesta, nebbie perenni e nuvole minacciose che si confondono oltre gli alberi spogli di una selva oscura che pone un interrogativo all’osservatore: fuggire, sapendo che tra poco ciò che si vede già non sarà più, o restare e intraprendere il viaggio che il caso ha deciso per noi?